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Atti del 1° Seminario Europeo "Falcon One" sulla Criminalità Organizzata Roma,
26 - 27 - 28 aprile 1995
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Vorrei premettere alcune considerazioni sulle principali difficoltà che si incontrano sempre nelle indagini di mafia. Una prima difficoltà scaturisce dalla natura stessa della mafia, - io parlerò soprattutto di Cosa Nostra, la mafia siciliana, la mafia di Palermo - l'impermeabilità della sua struttura mantenuta segreta, per quanto riguarda le sue componenti essenziali, il cuore, il cervello di Cosa Nostra.
Altro fattore di difficoltà investigativa è il consenso, molte volte involontario, di cui la mafia gode presso determinati strati di popolazione, di società, che costituisce un forte ostacolo a collaborare con gli organi dello Stato. E' quello che si definisce col termine "omertà", che può nascere dalla paura delle rappresaglie, ma che talora ha anche una componente di adesione, magari involontaria, condizionata da una certa "cultura" di cui la mafia è permeata e che diffonde intorno a sé. Altra difficoltà investigativa è una certa resistenza culturale, presso organi locali o nazionali, a cogliere l'altissima pericolosità eversiva, derivante a volte da sottovalutazione, da ritardi, da impreparazione, a volta anche da collusioni o contiguità tra componenti dell'apparato legale e il mondo dell'illegalità, fino alla criminalità mafiosa. Queste difficoltà possono almeno in parte spiegare perché, per lunghi anni, la risposta a Cosa Nostra sia stata insufficiente. La risposta diventa viceversa di grande spessore, di grande significato, quando Falcone e Borsellino sanno dare a se stessi e al gruppo che si forma intorno a loro un nuovo metodo di indagine, una nuova cultura investigativa, una nuova organizzazione del lavoro.
Il segreto di Falcone e Borsellino a quei tempi rappresentò una vera e propria rivoluzione per le investigazioni su Cosa Nostra e sulla mafia: il loro segreto fu di cercare, prima di tutto, di capire che cosa fosse Cosa Nostra, come fosse strutturata, come fosse organizzata, quali ne fossero le regole e le articolazioni e poi inserire all'interno di questo quadro complessivo ricostruito le singole specifiche manifestazioni criminose, i singoli specifici delitti, gli omicidi, le estorsioni, gli episodi relativi ai traffici di stupefacenti, gli appalti truccati e via seguitando. Ovverosia tutti gli eventi criminali che prima di allora erano stati trattati separatamente, ciascuno in maniera del tutto indipendente dagli altri e senza mai preoccuparsi di ricostruire il quadro organico di Cosa Nostra come organizzazione, solo in seguito sono valutati come episodi della sua strategia. Applicando questa filosofia, questa nuova cultura investigativa e usando, per la prima volta con riferimento a Cosa Nostra, lo strumento, per quell'epoca altamente innovativo, delle indagini bancarie, e riuscendo ad utilizzare con la loro straordinaria intelligenza e professionalità il fenomeno delle prime dissociazioni da Cosa Nostra, delle prime collaborazioni con la giustizia, Falcone e Borsellino hanno dimostrato quel che il primo ripetutamente aveva scritto e sostenuto in moltissimi dei suoi interventi pubblici: Cosa Nostra è una vicenda umana che, come tutte le altre, ha un suo inizio, uno sviluppo e può avere una fine. Basta organizzarsi per volere questa fine, dotandosi di nuovi strumenti investigativi. Falcone e Borsellino questa dimostrazione l'hanno fornita coi fatti, riuscendo ad istruire, costruire, preparare un processo di grandi dimensioni che in Italia viene correntemente chiamato "maxi processo", nel quale erano compresi moltissimi anni di delitti rimasti impuniti e una organizzazione coinvolgente centinaia e centinaia di soggetti, e, col rispetto più assoluto delle regole processuali, riuscendo ad ottenere condanne di capi, quadri intermedi, gregari di Cosa Nostra. L'importanza dell'opera di Falcone e Borsellino può essere misurata ancora oggi perché essi delinearono le caratteristiche fondamentali di Cosa Nostra che sono da ritenersi tuttora vigenti ed operanti. Dal lavoro di Falcone e Borsellino e dalle conferme successivamente acquisite da Polizia, Carabinieri e Servizi nel quotidiano lavoro di approfondimento, affinamento, sviluppo, aggiornamento di questi dati di partenza, scaturisce che Cosa Nostra è sì un'associazione criminale, ma non soltanto questo; è un problema di Polizia, un problema di ordine pubblico ma non soltanto questo. E' un problema molto più complesso: è innanzitutto, e lo abbiamo già accennato, una cultura, una mentalità molto radicata, molto diffusa che crea addirittura consenso intorno a sé, si è configurata come una organizzazione avente vere e proprie caratteristiche statuali, una organizzazione unitaria, verticistica con un suo territorio controllato capillarmente, un suo popolo, un suo governo rigorosamente gerarchico, una compartimentazione, che rende assai più difficili le investigazioni penetranti, una struttura militare, un esercito di killer addestrati, pronti ad intervenire per omicidi e per stragi. Soprattutto, Cosa Nostra ha dato vita ad un sistema economico basato sull'impresa illegale, dotato di capitali enormi, con modelli operativi flessibili capaci di adattarsi alle situazioni più diverse. Caratteristica forse più significativa è poi quella di aver costantemente curato, sviluppato, perfezionato una specie di "politica estera" delle relazioni esterne, costruendo, programmaticamente ricercando e consolidando punti di riferimento e di contatto con la società civile e con componenti delle Istituzioni. Fondamentale elemento funzionale a Cosa Nostra, una delle ragioni della sua forza, della sua espansione, della sua persistenza nel tempo nonostante i colpi ricevuti, è proprio questo reticolo di alleanze, di connivenze, a volte purtroppo di collusioni, che è riuscita a stabilire con alcuni segmenti della politica, dell'economia e della finanza. In sostanza, Cosa Nostra, fin dalle indagini di Falcone e Borsellino, appare costantemente - e le successive indagini di Polizia e carabinieri lo confermano - come una macchina in grado di operare in qualunque settore a qualunque livello, in qualunque Paese, dovunque vi sia modo di accumulare profitto e potere. Ecco allora che Cosa Nostra si pone come modello criminale vincente, capace di espandersi, ove occorra, ben oltre i confini della Sicilia, ben oltre anche i confini del nostro Paese. Non è sicuramente esagerato, è semplicemente rispondente alla realtà di Cosa Nostra e della mafia in generale, concludere dicendo che la potenza, la forza espansiva, la capacità d'infiltrazione e inquinamento dell'economia e della politica fanno di Cosa Nostra un pericolo che non conosce confini, una minaccia che riguarda tutte le democrazie del mondo.
Questi i risultati che l'intelligenza, la professionalità, il metodo e la capacità di organizzare il proprio e altrui lavoro di Falcone e Borsellino hanno conseguito. Purtroppo è un frammento di storia del nostro Paese che facciamo fatica a ricordare perché sicuramente non positivo. Proprio nel momento in cui Falcone e Borsellino riescono a dimostrare che, organizzandosi, la mafia può essere contenuta se non sconfitta, sorgono sulla strada del loro lavoro ostacoli di varia natura, con il risultato che esso invece di essere potenziato, sostenuto, sospinto verso ulteriori risultati attraverso il necessario sostegno e affinamento, viene affossato e il pool dei giudici istruttori di Palermo viene smembrato, demolito. Falcone deve cercare spazi per continuare il suo impegno antimafia fuori Palermo, a Roma, mentre Borsellino soltanto pochi mesi prima della sua morte riuscirà a trovare una collocazione corrispondente alle sue qualità e alla sua esperienza professionale. La conseguenza di questo arretramento dell'organizzazione della risposta antimafia, di questo azzeramento del pool di Falcone e Borsellino, è che per molti anni, di nuovo, la risposta giudiziaria e investigativa alla mafia subisce un affievolimento e non ottiene più quei successi di speciale valenza strategica.
Tuttavia, guardando unicamente ai risultati conseguiti, facendo violenza a se stessi e isolando gli effetti dalle cause, dopo le stragi di Capaci e di via D'Amelio, dopo la morte di Falcone, di Borsellino, degli uomini, delle donne che erano con loro, s'instaura una forte inversione di tendenza, subentra una rivolta morale di popolo e c'è un recupero di orgoglio e di efficienza da parte delle varie strutture istituzionali - Polizia, Carabinieri, Magistratura - chiamate a contrastare la minaccia di Cosa Nostra. C'è il soccorso di una legislazione, forse per la prima volta, mirata alla specificità del fenomeno, alla sua realtà e concretezza. Una legislazione che ha effettivamente come oggetto l'incentivazione dei pentimenti, delle collaborazioni che Falcone e Borsellino avevano chiesto in vita e non erano riusciti ad ottenere. Dopo la loro morte essa viene varata, così come è introdotta nel nostro ordinamento una regolamentazione del trattamento carcerario dei boss mafiosi detenuti che, per la prima volta, pone anche nei loro confronti restrizioni, in precedenza inesistenti, che consentiranno di spezzare lo strapotere mafioso persistente anche all'interno delle carceri.
Dopo Capaci e via D'Amelio, emersa la volontà di organizzarsi e di perseguire tutti insieme determinati obiettivi, molti successi vengono conseguiti con l'arresto di numerosi pericolosissimi latitanti, alcuni da grandissimo tempo (Riina, Santapaola, Pulvirenti, i Ganci padre e figlio, i fratelli Graviano e tantissimi altri che non si possono elencare); con la ricostruzione di delitti estremamente gravi, comprese le stragi di Capaci e di via D'Amelio, per quanto riguarda l'esecuzione materiale delle stesse e la loro organizzazione da parte dei vertici di Cosa Nostra; e con l'apertura dei primi squarci (naturalmente si tratta di prime investigazioni che dovranno essere verificate, controllate, confermate dalle autorità giudicanti), su quei rapporti tra mafia e politica, mafia e istituzioni, mafia e massoneria che rappresentano un elemento di forza storicamente ormai incontrovertibile di Cosa Nostra nel corso degli anni.
Questi sono i passaggi principali della risposta investigativa e giudiziaria al fenomeno di Cosa Nostra fino ad oggi. Oggi ci troviamo ad avere qualche problema in più perché tre anni dopo le stragi l'opinione pubblica manifesta una forte tendenza a recuperare la normalità. ciò è comprensibile e fisiologico poiché non si può vivere in stato di perenne, altissima tensione. C'è inoltre il fiorire di polemiche spesso pretestuose, molte volte ingiustificate come ai tempi di Falcone e Borsellino, sulla legittimità o sulla funzionalità di strumenti giuridici come il trattamento dei collaboratori di giustizia, come il trattamento carcerario dei boss mafiosi, di nuovo dimenticando che si tratta di strumenti di risposta che il nostro Paese si è dato ragionando sulla realtà, sulla specificità sulle esigenze concretamente poste da questo fenomeno. Viceversa polemizzando, partendo da punti di vista astratti, completamente sganciati dalle esigenze concrete della risposta al fenomeno Cosa Nostra, ci troviamo oggi ad affrontare qualche difficoltà in più rispetto a un paio di anni fa. Tuttavia le potenzialità per un'azione che sia di forte contenimento del fenomeno e il progresso di riduzione e di eliminazione del fenomeno sussistono inalterate. Il lavoro quotidiano di Polizia e Carabinieri col supporto dei Servizi è un lavoro che ho il dovere di ricordare non soltanto da un punto di vista formale, ma proprio come riconoscimento che debbo in qualità di rappresentante di un certo ufficio che si trova ad operare in una certa regione italiana.

Esso è continuo, incessante, a volte con risultati immediati, a volte con risultati più difficili da scorgere perché, mai come operando nel contrasto di Cosa Nostra, i risultati possono venire soltanto dopo mesi, magari anni di indagini attente, faticose, sommerse e sconosciute.
Due parole ancora per concludere. Quali sono i problemi che oggi, come sempre, si debbono affrontare sul piano investigativo avendo la speranza di organizzare la risposta in maniera efficace, tale da conseguire risultati positivi? Innanzitutto, un dato di partenza assolutamente fermo e imprescindibile è la constatazione che la principale risorsa strategica di Cosa Nostra è la sua organizzazione. Cosa Nostra è come un organismo vivente che, se subisce una ferita in un punto del corpo, la cicatrizza immediatamente e riesce a rigenerare il tessuto. Ciò significa che i vuoti che si aprono a tutti i livelli dell'organizzazione vengono sistematicamente colmati e allora è importante, decisivo arrestare i capi di Cosa Nostra, dopo Riina, Provenzano, Aglieri, Brusca, Bagarella. Ma deve essere altrettanto chiaro che questo non basta: è decisivo porsi, come obiettivo di fondo della strategia antimafia, la disarticolazione dell'organizzazione come tale, dell'organizzazione nel suo complesso, al di là della cattura di singoli anche prestigiosissimi esponenti criminali di Cosa Nostra. Perni di una strategia, che si proponga di disarticolare l'organizzazione come tale, sono ancora oggi la collaborazione dei pentiti e il trattamento carcerario di rigore dei mafiosi arrestati.
Sui pentiti dovremmo o potremmo parlare lungamente: vorrei limitarmi a dire che il contributo dei pentiti è ancora oggi estremamente importante. Sviluppando gli spunti di lavoro offerti dai pentiti, riscontrandoli, cercando tutte le verifiche, che è doveroso e assolutamente necessario trovare, Polizia e Carabinieri hanno conseguito, stanno ancora conseguendo e sicuramente potranno ancora conseguire importanti risultati.
Perché questa non resti una frase vuota, perché non sembri un'affermazione di principio, perché viceversa le mie parole abbiano concretezza, scaturente dall'esperienza di lavoro quotidiano, vorrei ricordare un episodio recente che si ricollega proprio alla strage di Capaci, in cui perse la vita Falcone. Gli ospiti stranieri forse non sanno che le indagini che riguardano un magistrato vittima di un reato non possono, in base alla nostra legge, essere svolte dai magistrati della città di quel magistrato, ma devono essere svolte dai magistrati di una città diversa. Ecco perché sulla morte di Falcone, avvenuta a Palermo, indaga l'ufficio giudiziario di Caltanissetta. I magistrati di Caltanissetta, indagando sulla strage di Capaci, hanno fatto un lavoro enorme, un lavoro straordinario di estrema positività: perizie, controperizie, altre perizie ancora, indagini di carattere bancario, indagini del flusso delle conversazioni telefoniche, con una vastità davvero inimmaginabile. Si può dire che ad un certo punto sapevano tutto della strage di Capaci, come ne era stata organizzata l'esecuzione, come era stata concretamente realizzata ed anche come erano state distribuite le forze in campo perché questa strage potesse essere compiuta. Sapevano tutto, lo sapevano grazie al loro prezioso ed intelligente lavoro, grazie al lavoro altrettanto prezioso e intelligente di collaborazione di Polizia e Carabinieri. Mancava la scintilla, mancava quel "quid pluris" per dare vita, per far lievitare questo materiale estremamente importante che già con le investigazioni, per così dire tradizionali, colleghi di Caltanissetta avevano raccolto. Il caso ha voluto che toccasse a me, come magistrato della Procura di Palermo, di raccogliere la prima confessione di un autore della strage di Capaci e lo ricordo perché nel momento in cui - era notte fonda - questo collaboratore di giustizia, che si dichiarava per la prima volta autore della strage di Capaci, mi esponeva le linee fondamentali essenziali dell'azione di commando che portò alla strage, fornendomi alcuni particolari che io non conoscevo analiticamente. Francamente, nel momento in cui mi venivano esposti, mi parevano incredibili, perché non riuscivo a credere che, per questa strage terribile che ha sconvolto il nostro Paese, che ha turbato il mondo intero, fosse stato usato un monopattino per far passare l'esplosivo sotto il cunicolo che attraversava la strada da Punta Raisi a Palermo. Mentre questo mi veniva raccontato, confesso che avevo delle forti perplessità e quando alle sei del mattino, consegnato il verbale ai colleghi di Caltanissetta, questi mi dissero fin da subito che uno strumento di quel tipo era stato adoperato, da un lato mi sono rasserenato, dall'altro ancora una volta ho capito, ed è questo che volevo in qualche modo esprimere attraverso l'esempio concreto, come anche le investigazioni più sofisticate, anche le investigazioni da manuale, sono incomplete se non hanno poi un contributo proveniente dall'interno di queste organizzazioni che, in quanto segrete, possono essere conosciute soltanto vivendoci dentro, lavorandoci dentro. Gli spunti di lavoro dei collaboratori sono significativi e importanti perché consentono di lavorare partendo da dentro, di scavare, di determinare l'afflosciamento verticale quando si è bravi, quando si è fortunati, quando si trovano i riscontri. Questo non vale soltanto per la legislazione italiana, ma io credo debba valere come punto di riferimento per tutte le legislazioni. Occorre promuovere un coordinamento delle legislazioni dei vari Paesi interessati a questi fenomeni, sia sul versante dell'ipotesi di reato di associazione di stampo mafioso, sia su quello delle misure di incentivazione delle collaborazioni perché insostituibili, in quanto interne alle strutture organizzative, quindi capaci di rivelare elementi che soltanto chi vi ha vissuto dentro può conoscere. Ecco, a conclusione di questo mio intervento vorrei proprio offrire a tutti i presenti due spunti di riflessione che ritengo strategicamente rilevanti nella lotta al crimine organizzato: l'esigenza di un coordinamento delle legislazioni e la cooperazione internazionale.

La versione integrale del n. 4/2011 sarà disponibile online nel mese di maggio 2012.